Quando i polli ebbero i
denti
e la neve cadde nera
(bimbi state bene attenti)
c'era allora, c'era... c'era...
... un vecchio contadino che
aveva tre figliuoli. Quando sentì vicina l'ora della morte li chiamò attorno
al letto per l'estremo saluto.
- Figliuoli miei, io non son ricco, ma ho serbato per ciascuno di
voi un talismano prezioso. A te, Cassandrino, che sei poeta e il più
miserabile, lascio questa borsa logora: ogni volta che v'introdurrai la mano
troverai cento scudi. A te, Sansonetto, che sei contadino e avrai da sfamare
molti uomini, lascio questa tovaglia sgualcita: ti basterà distenderla in
terra o sulla tavola, perché compaiano tante portate per quante persone tu
voglia. A te, Oddo, che sei mercante e devi di continuo viaggiare, lascio
questo mantello: ti basterà metterlo sulle spalle e reggerlo alle cocche
delle estremità, con le braccia tese, per diventare invisibile e farti
trasportare all'istante dove tu voglia.
Il buon padre spirò poco dopo: e i tre figli presero piangendo il
loro talismano e si separarono.
Cassandrino giunse in città, comperò un palazzo meraviglioso,
abiti gioielli, cavalli e prese a condurre la vita del gran signore. Tutti lo
dicevano un principe in esilio ed egli stesso cominciò a crederlo; tanto che
gli venne il desiderio di far visita al Re. Si vestì degli abiti e dei
gioielli più sfolgoranti e si presentò a palazzo.
Una guardia gli fermò il passo.
- Principe, che desiderate?
- Vedere il re.
- Favorite il vostro nome, e se sua Maestà crederà bene, vi
riceverà.
- Meno cerimonie! Eccovi cento scudi.
La guardia s'inchinò fino a terra e Cassandrino passò innanzi:
alla porta reale quattro alabardieri gli fermarono il passo.
- Principe, dove andate?
- Dal re.
- Non ci si presenta così a Sua Maestà. Dite il vostro nome e se
il Re vorrà ricevervi, passerete.
Cassandrino offrì cento scudi ad ogni alabardiere. Ma questi
esitavano.
- Non basta? Prendete ancora.
Gli alabardieri, vinti dall'oro, cedettero il passo. Cassandrino
diventò amico del Re.
Dopo qualche giorno in tutta la Corte si parlava meravigliati
della sua generosità favolosa. Ovunque egli passava distribuiva mance di
cento scudi, e servi, cuochi, fantesche, fanti, valletti, s'inchinavano
esultanti. La cameriera della principessa, figlia unica del Re, più
beneficata di tutti e più scaltra degli altri, cominciò a sospettare qualche
magia nel principe generoso e ne parlò alla sua padrona, una sera,
togliendole le calze.
- Principessa, la borsa del forestiero è fatata; non vedete com'è
piccola: e tuttavia ne trae ogni sera migliaia di scudi... Bisognerebbe
prendergliela.
- Bisognerebbe - assentì la principessa - ma come fare?
- Egli siede ogni sera alla vostra sinistra; versategli nel
bicchiere un soporifero; s'addormenterà e l'impresa sarà facile.
Così fu fatto. La sera seguente, alle frutta, il principe
Cassandrino cominciò ad appisolarsi, poi chinò la testa sulla tovaglia e,
fra lo stupore del Re e dei convitati, s'addormentò. Fu portato in una camera
del palazzo e disteso sul letto.
L'ancella, vigilante, gli prese la borsa e la portò alla sua
padrona. Poi, di comune intesa, confidarono a quattro sgherri il giovine
addormentato e lo fecero deporre fuori delle porte, in un campo deserto.
All'alba, Cassandrino si svegliò intirizzito e comprese il giuoco che gli era
stato fatto.
- Mi vendicherò - egli disse; e lasciò la città e prese la via
del paese nativo.
Giunse dal fratello contadino, che lo accolse a braccia aperte e
lo fece sedere presso il focolare, tra la moglie ed i figli.
- Fratello mio Cassandrino, e la tua borsa fatata?
- Ohimè! Mi fu rubata e nel modo più fanciullesco -. E raccontò
al fratello la disavventura. - Tu potresti aiutarmi a recuperarla.
- Come?
- Prestandomi per qualche tempo la tua tovaglia magica.
Il fratello esitava.
- Te ne prego, non la terrò che pochi giorni, e ti sarà
riconsegnata.
Sansonetto diede la tovaglia fatata a Cassandrino, supplicandolo
di restituzione sicura. Cassandrino ritornò in città, vestì abiti dimessi,
e si presentò a palazzo come cuoco disimpiegato. Il Ministro delle Pietanze
lo guardò incredulo e sprezzante e gli assegnò l'ultimo posto nella
burocrazia culinaria.
un giorno che il Re dava un pranzo di gala agli ambasciatori del
Sultano, Cassandrino disse al capo dei cuochi:
- Lasciate a me solo l'incarico di tutto: vi prometto un pranzo
mai più visto.
Il capo sghignazzò, sprezzante:
- Povero sguattero scimunito!
Ma Cassandrino insistette con tanta convinzione che il capo disse:
- Rispondi di tutto sulla tua testa?
- Sulla mia testa.
I cuochi e il loro capo andarono a passeggio, e Cassandrino restò
nelle cucine. Pochi minuti prima di mezzogiorno salì nella sala da pranzo e
distese la tovaglia miracolosa in un angolo della tavola immensa.
- Tovaglia! Tovaglia! Sia servito un banchetto di cinquecento
coperti, tale da sbalordire il Re, la Corte, gli Ambasciatori, tale da
confondere tutti i cuochi della terra!
Ed ecco biancheggiare le tovaglie finissime, scintillare i
cristalli e le argenterie, e profondersi le pietanze più raffinate, i
pasticci dall'architettura fantastica, le cacciagioni prelibate, i pesci rari,
i frutti d'oltre mare, i vini delle isole del sole. Giunse l'ora del pranzo e
i commensali furono entusiasti. Il Re chiamò il capo dei cuochi e volle
onorarlo dei suoi complimenti in presenza di tutta la Corte. Il capo, da quel
giorno, affidò a Cassandrino la direzione delle cucine, appropriandosi tutti
gli elogi.
Cassandrino saliva ogni giorno, solo, nella sala da pranzo, pochi
istanti prima del pasto: si chiudeva a chiave, e ne usciva quasi subito; le
mense reali erano imbandite.
La servitù cominciava a sospettarlo di stregoneria.
L'ancella della principessa, più scaltra degli altri, lo spiò un
giorno dalla toppa e vide l'apparizione improvvisa delle vivande.
Subito confidò la cosa alla padrona.
- Principessa, l'uomo dalla borsa è ancora nel palazzo sotto le
spoglie del capo dei cuochi; e possiede una tovaglia che opera tutto
l'incantesimo!
- Bisogna avere quella tovaglia! - disse la principessa.
- L'avremo! - assicurò l'ancella. E la notte seguente forzò lo
stipo dove Cassandrino chiudeva la tovaglia e la sostituì con una tovaglia
comune.
L'indomani, all'ora di pranzo, Cassandrino distese inutilmente la
tovaglia e ripeté invano la formula imperativa. Le tavole restavano deserte.
- Eccomi gabbato una seconda volta! Ma non importa, mi vendicherò!
E uscì dal palazzo e ritornò al paese natìo. Si presentò al
fratello mercante, che lo abbracciò e gli domandò delle sue avventure.
Cassandrino gli confidò i suoi casi non lieti.
- Mi hanno rubato la borsa e la tovaglia, ma se tu volessi
potresti aiutarmi a ricuperare il tutto.
- E come, fratello mio?
- Imprestandomi per qualche giorno il mantello fatato.
Il mercante esitò; il mantello che rendeva invisibili e aboliva
le distanze gli era necessario pel suo commercio. Ma Cassandrino tanto supplicò
che ottenne il mantello. Col mantello aperto e sorretto alle estremità dalle
braccia tese, giunse in un attimo alla città, salì invisibile le scale del
palazzo, s'introdusse nelle stanze della principessa: questa dormiva e
Cassandrino le coprì il volto con un lembo del mantello.
- Per la virtù di questo mantello, desidero essere trasportati
entrambi alle Isole Fortunate.
Il mantello li avvolse come in una nube cupa e vertiginosa e pochi
secondi dopo li deponeva in un boschetto di palmizi, nell'isole remote.
La principessa - vedendosi in balia del suo nemico - finse di
rassegnarsi all'esilio con lui, ma questo fece per scoprire il segreto della
sua potenza; e tanto seppe ingannarlo che gli strappò la confidenza del
mantello. Una notte che Cassandrino dormiva col panno prezioso ripiegato sotto
la nuca, glielo sottrasse cautamente.
- Per virtù di questo mantello voglio essere trasportata nel
palazzo di mio padre il Re.
Cassandrino si svegliò mentre il mantello avvolgeva la
principessa in una nube cupa e vertiginosa e la rapiva nell'azzurro verso il
regno del padre.
- Eccomi ancora derubato da quella perfida -. E si mise a
singhiozzare disperato.
Passò molti mesi nell'isola, mantenendosi di frutti. Un giorno,
vagando sulla riva del mare, scoperse un albero dai pomi enormi e vermigli. Ne
mangiò uno e lo trovò squisito. Ma sentì tosto per tutto il corpo un
prurito inquietante.
Si guardò le mani, le braccia, si specchiò ad una fonte e si
vide coperto di squame verdi.
- Oh! povero me! Che cos'è questo?
E si palpava la pelle squammosa come quella d'un serpente.
Cassandrino fu tentato da altri pomi gialli che crescevano sopra un albero
vicino. Ed ecco un nuovo prurito, e le squamme verdi sparire a poco a poco e
la pelle ritornargli bianca per tutta le persona. Allora prese ad alternare le
due specie di frutti e si divertiva a vedersi imbiancare e rinverdire.
Dopo vari mesi di esilio passò all'orizzonte una fusta di corsari
e Cassandrino tanto s'agitò gridando che quelli si appressarono alla spiaggia
e l'accolsero sul legno. Ma prima di lasciare l'isola il giovane raccolse tre
pomi dell'una e dell'altra pianta e li mise in tasca.
Fu così rimpatriato e ritornò alla città della principessa. La
domenica seguente si travestì da pellegrino, collocò un deschetto sui
gradini della chiesa dove la figlia del Re si recava alla messa e vi pose
sopra i tre pomi bellissimi che facevano inverdire.
La principessa passò, seguita dall'ancella, e si soffermò
ammirata, ma non riconobbe il falso pellegrino. Si rivolse all'ancella: -
Tersilla, andate a comperare quelle mele.
La donna s'avvicinò al pellegrino:
- Quanto volete di questi frutti?
- Trecento scudi.
- Avete detto?
- Trecento scudi.
- Siete pazzo? Cento scudi al pomo!
- Se li volete, bene: altrimenti son vane le parole.
La donna ritornò dalla sua padrona.
- Trecento scudi! avete fatto bene a non prenderli.
Ed entrarono in chiesa per la messa.
Ma durante la cerimonia la principessa, ginocchioni ai piedi
dell'altare, con gli occhi al cielo e le mani congiunte, non faceva che
pensare ai pomi del pellegrino. Appena uscita si fermò ancora ad ammirarli,
poi disse all'ancella: - Andate a comperare quei frutti per trecento scudi: mi
rifarò con la borsa miracolosa.
La donna s'avvicinò e parlò col pellegrino.
- Perdonate, mia cara, non più trecento, ma seicento scudi voglio
dei pomi.
- Vi burlate di me?
- Bisognava prenderli prima. Ora il prezzo è doppio.
La donna ritornò dalla sua padrona, poi dal pellegrino e fece la
compera. A mensa i pomi furono presentati sopra un vassoio d'oro e formarono
l'ammirazione di tutti. Alle frutta il Re ne prese uno per sé, ne diede uno
alla Regina e uno alla principessa e furono trovati deliziosi. Ma i mangiatori
non erano giunti a metà che cominciarono a guardarsi irrequieti l'un l'altro
e si videro inverdire e coprirsi di squame serpentine. Avvenne una scena di
disperazione e di terrore.
I Reali vennero trasportati nelle loro stanze e la novella
terribile si diffuse in tutto il regno.
Furono consultati invano i medici più famosi. Allora si pubblicò
un bando: chiunque facesse scomparire la pelle verde alla famiglia reale
otteneva la mano della principessa o, se ammogliato, la metà del regno.
Cassandrino lasciò sfollare i medici, i chirurghi, le sortiere, i
negromanti, e si presentò dopo qualche giorno a palazzo reale.
Fu ammesso nella stanza degli ammalati.
- Promettete dunque di farci guarire?
- Lo prometto.
- E quando comincerete la cura?
- Anche subito, se volete.
Cassandrino fece denudare il Re fino alla cintola; poi trasse da
una cesta un fascio d'ortiche e con le mani inguantate cominciò a flagellare
le spalle reali.
- Basta! Basta! - urlava il Re.
- Non ancora, Maestà.
Poi passò alla Regina e ripeté sulle spalle di lei la stessa
funzione.
Quando i due Sovrani furono deposti sul letto, semivivi,
Cassandrino porse loro i frutti delle isole lontane.
Ed ecco i volti imbiancarsi a poco a poco, le squamme diradarsi,
svanire del tutto.
I Reali erano esultanti.
Venne la volta della principessa.
Cassandrino volle restar solo con lei, e si chiuse a chiave nella
sua stanza.
Giunsero tosto le urla e i gemiti strazianti. La cura
incominciava.
- Aiuto! Basta! Basta!
La cura proseguiva.
- Muoio! Basta! Aiuto! Per carità!
Dopo un'ora Cassandrino uscì dalla sua stanza, lasciando la
principessa semiviva.
- E la pelle? - domandarono i Sovrani.
- Gliela imbiancherò domani. Domani ritornerò per ultimare la
cura.
Cassandrino andò a trovare un abate, amico suo, e gli disse:
- Domani, verso mezzogiorno, trovati a palazzo reale per
confessare la principessa che versa in pericolo di vita.
L'abate promise di trovarvisi.
Il giorno dopo Cassandrino si presentò a palazzo: - Sacra Corona,
oggi farò l'ultimo trattamento della principessa, ma siccome potrebbe
soccombere...
- Gran Dio! Che dite mai? - urlarono i Sovrani.
- Ho pensato bene di avvisare un abate, per gli ultimi conforti.
Sarà qui verso mezzogiorno.
Poi salì dalla principessa: - Oggi vi sottoporrò all'ultimo
trattamento, e poiché potrebbe essere fatale, hanno avvisato un abate per la
tranquillità della vostra coscienza.
La principessa aveva gli occhi fissi dallo spavento. Sopraggiunse
l'abate che fu lasciato solo con l'ammalata e Cassandrino attese in un
gabinetto attiguo.
Quando il confessore uscì dalla stanza, Cassandrino disse: -
Amico mio, favoriscimi alcuni istanti la tua veste.
- Sarebbe un insulto alla mia divisa.
- Non temere cose sacrileghe. È per ottimo fine. - Cassandrino si
vestì della veste sacerdotale e si presentò alla principessa che gemeva
nella sua alcova.
- Figliuola mia, temo abbiate dimenticato qualche cosa nella
confessione delle vostre colpe... Meditate, cercate ancora... Pensate che
siete forse sul punto di presentarvi al giudice supremo.
La principessa allibiva, singhiozzando.
- Vediamo - diceva Cassandrino, imitando la voce dell'amico - non
ricordate d'aver sottratto... rubato qualche cosa?
- Ah, padre! - singhiozzò la principessa. - Ho rubato una borsa
miracolosa a un principe forestiero.
- Bisogna restituirla! Confidatela a me e gliela farò avere.
La principessa indicò col gesto stanco uno stipo d'argento: e
Cassandrino prese la borsa.
- E altro... altro ancora, non ricordate?
- Ah Padre: ho rubato una tovaglia fatata allo stesso forestiero:
prendetela. è là, in quell'arca d'avorio.
- E altro, altro ancora?
- Un mantello, Padre! Un mantello incantato, allo stesso
forestiero. È là, in quell'armadio di cedro...
E Cassandrino prese il mantello.
- Sta bene - proseguì il falso prete - ora mordete questo pomo:
vi gioverà.
La principessa addentò il frutto e subito le squamme verdi si
diradarono lentamente e scomparvero del tutto. Allora Cassandrino si tolse la
parrucca e la veste.
- Principessa, mi riconoscete?
- Pietà, pietà! perdonatemi d'ogni cosa! Sono già stata punita
abbastanza!
I Sovrani entrarono nella camera della figlia e il Re, vedendola
risanata, abbracciò il medico.
- Vi offro la mano della principessa: vi spetta di diritto.
- Grazie, Maestà! Sono già fidanzato con una fanciulla del mio
paese.
- Vi spetta allora metà del mio regno.
- Grazie, Maestà! Non saprei che farmene! Sono pago di questa
borsa vecchia, di questa tovaglia, di questo mantello logoro...
Cassandrino, fattosi invisibile, prese il volo verso il paese
natio, restituì ai fratelli i talismani recuperati e, sposata una compaesana,
visse beato fra i campi, senza più tentare l'avventura.